martedì 10 giugno 2014

Le finestre dell'anima nel Doppio sogno di Arthur Schnitzler

di Rosa Salamone
«Di ciò che caratterizza lo spazio, ossia una stanza, la cosa più meravigliosa è la finestra».
Con questa immagine dell’architetto statunitense Louis Khan1 in cui la finestra è il luogo della meraviglia e imprescindibile di uno spazio, sarebbe stato sicuramente d’accordo lo scrittore Arthur Schnitzler; lui che ha riempito le centinaia di pagine o poco più della sua novella, Doppio sogno, di tante finestre: ora aperte ora chiuse, ora opache ora trasparenti. Da alcune di queste finestre vi invito a guardare la storia dei protagonisti della novella, una coppia borghese della Vienna degli anni ‘20, Fridolin e Albertine, che si smarriscono, l’uno nella realtà e l’altra nel sogno dei propri desideri insoddisfatti, per poi ricongiungersi. 

Una premessa è necessaria, anche se ovvia: la finestra qui è elemento materico ma anche e soprattutto metaforico, per quel suo stare, chiusa o aperta che sia, su una soglia figurando un varco tra l’interno e l’esterno e, per estensione, tra l’io e il mondo, il noto e l’avventura. Seguitemi dunque e affacciatevi nelle finestre materiche e metaforiche di Arthur Schnitzler e del suo Doppio sogno.
(...)
Fridolin si alzò, si mise a camminare avanti e indietro per la stanza, poi disse: «Hai ragione». Stava presso la finestra, il viso in ombra. «Quel che ti ho raccontato» rispose Fridolin «accadde per caso l'ultimo giorno della nostra vacanza in Danimarca. Neanch'io so che cosa sarebbe avvenuto in circostanze diverse. Evita anche tu di fare altre domande, Albertine». Fridolin stava sempre presso la finestra, immobile. Albertine, gli occhi umidi e misteriosi, la fronte leggermente corrugata, gli si avvicinò. «D'ora innanzi ci racconteremo sempre subito storie del genere» disse.
Siamo nell'interno della casa di Fridolin e Albertine, i due hanno appena finito di raccontarsi i reciproci desideri nascosti e insoddisfatti. Fridolin ha ascoltato la confessione della moglie infatuatasi di un ufficiale durante una vacanza estiva in Danimarca. Alla fine della confessione si materializza una finestra presso la quale Fridolin immobile se ne sta, è un limite che lo blocca e che non comunica né con l’interno, ossia il nucleo familiare, né con l’esterno, ossia una realtà altra da quella privata.
(...)
Gettò un'occhiata alla finestra chiusa e, senza chiederne il permesso, come esercitando un suo diritto di medico, la spalancò e fece entrare l'aria, che nel frattempo si era fatta ancora più tiepida, primaverile, e sembrava portare con sé un lieve profumo dai boschi lontani che si risvegliavano dal sonno invernale. Quando si girò, vide gli occhi di Marianne fissi interrogativamente su di lui.
È uscito di casa Fridolin, la sua professione di medico lo porterà a visitare un paziente sofferente di cuore che intanto è morto. La figlia Marianne, al suo arrivo, gli parla del defunto, del fratello, del fidanzato, anche lui medico, e dei loro progetti con un tono di febbricitante intimità che precede la confessione del suo amore per Fridolin. Durante la durata del colloquio, una lampada a petrolio illumina la stanza  e un impasto di odori la impregna: petrolio, mobili, medicine, acqua di colonia, sapone alla rosa. La finestra è chiusa e Fridolin la apre, semplicemente, per far entrare l’aria e la vita in quel luogo di morte. La finestra, dice la filosofa ginevrina Jeanne Hersch2, è “quelque chose qui peute s’ouvrir”, ossia “qualcosa che può essere aperto” e genera qui un cambio d'aria, una nuova ossigenazione a luoghi e vite.
(...)
«Oh, ti sbagli. Non si tratta di quel che pensi. Ne ho già viste di tutti i colori, non lo si crederebbe, in certe cittadine, specialmente in Romania, si fanno molte esperienze. Ma qui ...». Scostò un poco la tendina gialla della finestra, guardò in strada e disse come tra sé: «Non è ancora arrivata» poi precisò a Fridolin: «Intendo la carrozza. Mi viene sempre a prendere una carrozza, e sempre una diversa».
«Mi incuriosisci, Nachtigall» disse freddamente Fridolin.
Fridolin ha lasciato la casa del defunto e ha vagabondato per la città incrociando coppie di amanti, barboni, studenti universitari, prostitute finché non trova riparo in un bar. Qui incontra un vecchio amico universitario, Nachtigall, medico mancato, musicista e padre di quattro bambini, come egli stesso racconta. Nachtigall sta aspettando l’arrivo di una carrozza che lo porterà ad una festa privata ed esclusiva e che lo vedrà suonare il pianoforte bendato. Nell'attesa sposta la tendina gialla della finestra, questa finestra che è cornice sul desiderio, cornice in cui “il desiderio attende l’epifania del suo oggetto3, citando la filosofa Francesca Rigotti. L’epifania è per Fridolin la possibilità di vendicarsi del desiderio confessatogli dalla moglie, o più in generale dell’esistenza di un desiderio femminile, ritenuto, siamo negli anni ‘20, monopolio esclusivo delle fantasie dell’uomo.
(...)
I finestrini erano chiusi, Fridolin cercò di guardar fuori; erano opachi. Voleva aprirli, provò a destra, a sinistra, impossibile; opaca e chiusa era anche la lastra di vetro che lo divideva dalla cassetta. Picchiò sui vetri, chiamò, gridò, la carrozza continuava la sua corsa. Tentò di aprire le portiere, a destra, a sinistra, non cedettero a nessuna pressione, i suoi ripetuti richiami si smorzarono nel cigolio delle ruote, nel sibilare del vento. La carrozza cominciò a sobbalzare, procedeva in discesa, sempre più veloce, Fridolin in preda ad agitazione e angoscia stava per fracassare uno dei finestrini opachi, quando la vettura si fermò all'improvviso.
Fridolin è andato alla festa esclusiva di donne e uomini nudi e in maschera di cui conosceva la parola d’ordine d’ingresso, ma non quella interna della casa; riscattato da una donna mascherata che per lui sacrifica la vita, è stato cacciato fuori e messo in una carrozza dai finestrini opachi. Inquieta questa immagine di carrozza dai finestrini oscurati che va nell'oscurità della notte. Inquieta ancor di più sapere che Fridolin vorrebbe guardar fuori ma non può e picchia sui vetri, grida e non una risposta. I finestrini opachi sono segno dell’impossibilità di accedere ad una realtà che è e sarà per Fridolin inconoscibile e inaccessibile.
(...)
Ma ecco che l'armadio improvvisamente si è richiuso o è scomparso, non ricordo più bene. La stanza era tutta illuminata, ma fuori della finestra era notte fonda ... A un tratto sei comparso tu, eri venuto per mare accompagnato da galeotti, li vidi mentre si allontanavano nell'oscurità. Indossavi preziosi vestiti d'oro e seta, avevi al fianco un pugnale con pendagli d'argento e mi prendesti in braccio portandomi fuori attraverso la finestra.
Finalmente Fridolin è rientrato a casa e trova la moglie Albertine che dorme. Dopo una risata stridula, che segna il culmine di un’estraneità tra marito e moglie, si sveglia svegliata e racconta di un sogno appena sognato. In esso c’è un avvicendarsi di tante situazioni che ricalcano e rovesciano l’avventura notturna del marito e tante finestre sono presenti nel sogno, tutte aperte. Aperte sul nuovo, sull'avventura e sul desiderio, sull'emancipazione del desiderio femminile che sconvolgono Fridolin.
(...)
Rimasero così in silenzio, sonnecchiando anche, l'una vicino all'altro, senza sognare - finché, come ogni mattina, alle sette bussarono alla porta, e, con gli abituali rumori della strada, con un vittorioso raggio di luce penetrato attraverso lo spiraglio della tenda e un chiaro riso di bambina dalla stanza accanto, cominciò il nuovo giorno.
Il raggio di sole che entra nella stanza ci dice che lì è una finestra, una finestra che porta luce e chiarezza dove prima era oscurità. Se la finestra non viene nominata è perché è luce essa stessa, una luce che segna un discrimine nel vagabondaggio tra desideri sognati e reali, segna un prima e un dopo e, ai fini della storia, anche una conclusione o parvenza di conclusione perché, come ammonisce Albertine, il futuro non si può ipotecare. 

Il nome di Arthur Schnitzler è legato a doppio nodo con quello di Sigmund Freud. Entrambi sono di origine ebrea e vivono a Vienna, entrambi sono medici e hanno contribuito alla più grande scoperta del ‘900: la scoperta dell’inconscio, Arthur Schnitzler in modo intuitivo, Sigmund Freud in modo scientifico. Riporto, a tal proposito, il passaggio di un’intervista del 1927 fatta ad Arthur Schnitzler: 

«Nella letteratura io percorro la stessa strada su cui Freud avanza con temerarietà sorprendente nella scienza. Entrambi, il poeta e lo psicoanalista, guardano attraverso le finestre dell’anima. Leibiniz ha sostenuto che l’anima non ha finestre. Freud ha dimostrato il contrario».

"Le finestre dell’anima" le chiama Arthur Schniztler, le stesse finestre che ha progettato e inserito nel suo Doppio Sogno e dalle quali, da lettori, abbiamo guardato scoprendo come ciascuna di queste abbia un significato proprio e differente. Abbiamo incontrato finestre che immobilizzano, finestre che chiedono di essere aperte, finestre opache da cui è impossibile guardare, finestre aperte sul desiderio, finestre tutt'uno con la luce e da queste ci siamo affacciati nella storia consapevoli, come Fernando Pessoa4, "che mai è quello che si vede / quando la finestra si apre". 

________________________________________________
Note:
1 Maria Bonaiuti, Architettura è, Louis I. Khan, Electa
2 Francesca Rigotti, Il pensiero delle cose, Apogeo
3 Francesca Rigotti, op. cit. 
4 Fernando Pessoa, Poemi di Alberto Caeiro, La vita felice 
-
Segnala

0 commenti:

Articoli inerenti