sabato 14 giugno 2014

Viaggio nell'happyfania della provincia ennese

di Rosa Salamone

Quale maggior supplizio per gli alunni che ritornare sui banchi di scuola dopo le vacanze, ogni tipo di vacanze, e trovarsi di fronte ad una pagina bianca da riempire con un racconto sulle vacanze stesse? Il suddetto supplizio è stato inflitto anche ai miei alunni, precisamente al rientro delle vacanze natalizie, anche se a loro in realtà piace molto raccontarsi. In uno dei testi, un alunno aveva scritto “happyfania” al posto di “epifania” meritandosi un bel punto interrogativo. Ho scoperto, in seguito, che la trascrizione di “Happyfania” era stata usata nella pubblicità di un noto marchio di cioccolati, la Kinder, di cui l’alunno avrà fatto un consumo eccessivo con danni irreversibili in campo ortografico. Ci ho riso su concludendo che, se l’epifania etimologicamente è la manifestazione di una qualche divinità, l’happyfania potrebbe essere la manifestazione di una qualche felicità. 
Una felicità da pubblicità, da golosi, da scorrettezza ortografica, ma pur sempre una felicità.

La stessa felicità circola nei video amatoriali costruiti sul ritmo trascinante della canzone Happy, cantata dallo statunitense Pharrel Williams. I video amatoriali vedono, come protagonisti, persone comuni di ogni latitudine le quali ballano e si muovono in luoghi altrettanto comuni per i motivi più disparati: divertimento, autopromozione, vanità, pubblicità. Non sarà la felicità come diritto sancita nella Dichiarazione d’indipendenza americana, forse ricorderà più da vicino la felicità cantata da Albano e Romina Power, quella del bicchiere di vino, con un panino, eccetera, o la felicità da parrocchia del “Se sei felice e tu lo sai, batti le mani”, ma è pur sempre una felicità. 

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martedì 10 giugno 2014

Le finestre dell'anima nel Doppio sogno di Arthur Schnitzler

di Rosa Salamone
«Di ciò che caratterizza lo spazio, ossia una stanza, la cosa più meravigliosa è la finestra».
Con questa immagine dell’architetto statunitense Louis Khan1 in cui la finestra è il luogo della meraviglia e imprescindibile di uno spazio, sarebbe stato sicuramente d’accordo lo scrittore Arthur Schnitzler; lui che ha riempito le centinaia di pagine o poco più della sua novella, Doppio sogno, di tante finestre: ora aperte ora chiuse, ora opache ora trasparenti. Da alcune di queste finestre vi invito a guardare la storia dei protagonisti della novella, una coppia borghese della Vienna degli anni ‘20, Fridolin e Albertine, che si smarriscono, l’uno nella realtà e l’altra nel sogno dei propri desideri insoddisfatti, per poi ricongiungersi. 

Una premessa è necessaria, anche se ovvia: la finestra qui è elemento materico ma anche e soprattutto metaforico, per quel suo stare, chiusa o aperta che sia, su una soglia figurando un varco tra l’interno e l’esterno e, per estensione, tra l’io e il mondo, il noto e l’avventura. Seguitemi dunque e affacciatevi nelle finestre materiche e metaforiche di Arthur Schnitzler e del suo Doppio sogno.
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lunedì 2 giugno 2014

Quando il libro va in piazza

di Rosa Salamone

Per i greci era l’agorà, per i latini il foro romano, per noi è semplicemente la piazza, luogo dell'incontro e della socializzazione che una sbrigativa sociologia mediatica dà per spacciata lamentando la sua sostituzione con altre piazze virtuali, la tv ed internet, ma lei è lì che resiste ed esiste. Noi da lettori in viaggio la attraversiamo e la viviamo nei nostri incontri. In una piazza, precisamente nella piazza Carlo Alberto di Villadoro, ci siamo dati appuntamento per parlare del libro Doppio sogno di Arthur Schnitzler.


Villadoro è una frazione del paese di Nicosia, conta sì e no 800 abitanti circa e per raggiungerla si incontrano campi su campi, gli stessi che mettono in moto la povera economia degli abitanti di questo paese. Qui, con le nostre sedie portate da casa, un tortino salato, una bottiglia di vino e i libri ci sistemiamo in cerchio e non passiamo certo inosservati. Le persone ci guardano incuriosite: alcuni passano lenti con le orecchie in ascolto, uno mormora un buonasera, un altro in divisa ci stringe la mano, chiede cosa stiamo facendo, se siamo autorizzati, se siamo italiani e perché allora leggiamo un libro straniero. Ha inizio così la nostra discussione sul libro, tra un viavai continuo di passanti. Quando uno, che potrebbe portare la fascia di primo cittadino nelle sfilate di paese, si avvicina, chiede spiegazioni della locandina e inizia a parlare di un paese abbandonato e che stringe la cinghia, di un prete, che adesso non c’è più, che aveva unito cittadini e credenti tutti in processioni e tradizioni rispolverate, del macellaio il cui orgoglio è la salsiccia secca, della via di cui conosce il numero esatto degli abitanti, di se stesso emigrato per molti anni al nord per lavoro. Va di palo in frasca ma ogni suo discorso è concreto, è a portata di indice: là la chiesa e i suoi santi, là il macellaio e la salsiccia, là la via e i suoi abitanti contati uno ad uno, là il paese che stringe la cinghia, infine va via.

Noi riprendiamo ancora una volta il filo del discorso sul libro, mentre continuano in sottofondo le voci e gli sguardi di maschi e donne, giovani e anziani che il sabato sera vivono la piazza di un paese di 800 abitanti appena dell'entroterra siculo. Si diceva del libro Doppio sogno, storia di una famiglia borghese e felice che si trova a dover fare i conti con i reciproci desideri nascosti e insoddisfatti in un susseguirsi di avventure sognate e reali. Il libro, negli anni in cui uscì, siamo a Vienna nel 1926, coglieva in pieno le teorie freudiane sull'inconscio e il sogno e aveva un suo sapore rivoluzionario che adesso però ha perso, non solo per il contenuto ovvio e superato, ma anche e soprattutto per la scrittura sciapa, insapore, a tratti didascalica. Lungamente si parla del libro rimandando ad altri libri e film quando, altra pausa (non dimenticate, intanto, il sottofondo di voci e sguardi), si avvicina un ragazzo, si presenta, stringe la mano a tutti, chiede cosa stiamo facendo e parla di sé. Ha diciannove anni ed è un lettore, ha appena finito di leggere Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, un mattone che non voleva più finire ma per fortuna l'ha letto per intero e che pena quel Raskol'nikov, è stato iniziato alla lettura con Harry Potter, dice con orgoglio, e infine ci saluta con garbo e una scintilla di gioventù negli occhi. 

La sensazione è quella di aver, noi lettori con le nostre sedie e i nostri libri, allestito una scena teatrale all'interno di un'altra scena teatrale che è la piazza, che a sua volta rimanda ad un'altra scena teatrale che è la vita. Ma non facciamo filosofia! Cerchiamo d'essere concreti, indichiamole le cose di cui parliamo, come il primo cittadino di questa frazione di paese: è stato un privilegio esser stati con altri lettori, altri passanti e libri in questa piazza che non è indifferente e si racconta con orgoglio e pudore. La dimensione della piazza, del suo sguardo e delle sue storie che si è incontrata con la dimensione della storia del libro Doppio sogno fino a farsi tutt'uno, intreccio indissolubile: lo smarrimento di Fridolin che vaga per la Vienna degli anni venti si è fatto tutt'uno con il lungo discorso del primo cittadino di Villadoro che ci parla del suo paese, Albertine e il suo sogno del marito crocifisso si è fatto tutt'uno con il carabiniere che ci chiede perché leggiamo un libro straniero, Marianne e la sua confessione di amore a Fridolin si è fatta tutt'uno con il ragazzo diciannovenne che con orgoglio ci dice di aver letto per intero Delitto e castigo. 

Portare un libro in piazza significa innestarlo, imbastardirlo con altre storie fino a fargli mutare la sua identità perché questa è la piazza: metamorfosi. Questo siamo noi lettori.
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domenica 1 giugno 2014

Peter Schlemihl? Tiratelo fuori dall’ombra

Da quali scaffali e memorie vengano sputati certi libri, resta un mistero.

Nell'ultimo incontro dei lettori dell’isola degli asini, è stato scelto l’unico libro proposto tra i presenti: “Storia straordinaria di Peter Schlemihl”, libro di uno sconosciuto (tale Adelbert von Chamisso), di un’ancora più sconosciuta casa editrice (Morganti Editori), dalla copertina insignificante (tra alti edifici un uomo scappa inseguito da un’ombra) e dalla trama apparentemente banale (storia di Peter Schlemihl che baratta la propria ombra con il diavolo in cambio di una borsa magica da cui poter attingere monete all'infinito e che condanna se stesso ad essere esiliato dagli uomini perché senz'ombra finché non diventerà, nel viaggio e nella solitudine, uno studioso naturalista). Insomma, un libro che sembrava meritare solo un destino: restare nell'ombra.

Sin dalle prime pagine, invece, attraverso una prosa asciutta e rapida, si entra nella storia e nel personaggio di Peter Schlemihl, alter ego dell’autore von Chamisso (esiliato perché senz'ombra uno, sradicato dalla propria patria, la Francia, l'altro), ed è godimento puro. C’è chi lo ha definito “una delle più graziose opere giovanili della letteratura tedesca” (Mann), chi ha visto in questo libro “un anticapitalismo romantico” (De Angelis), chi ha parlato di parodia (Atkins), chi di pessimismo (Flores), ma queste sono tutte formule riduttive, buone per un aforismario, la verità è che il libro si presta a più chiavi di lettura ed è ingannevole: sembra un romanzo epistolare, ma non lo è; una favola, ma non lo è; riprende alcune tematiche del romanticismo, ma per smontarle; parla dell’ombra, ma non ne dà mai un significato chiaro e univoco. Ricentrando il giudizio: è un libro che vale la pena d’esser letto.

Tiratelo fuori dall'ombra, quindi, dagli scaffali, da dove volete voi. A lettura finita, condividetelo, semplicemente parlandone, con altri lettori venerdì 27 giugno a Valguarnera, in piazza Matrice muniti di sedia, se non volete restare all'impiedi.
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