giovedì 17 ottobre 2013

L'isola degli asini ha letto "Caro Michele" di Natalia Ginzburg

Il 6 ottobre, in occasione della sagra del pesco e dell'incontro bagnato "Siamo tutti lettori"Rosa ha letto alcune pagine dal libro "Caro Michele" di Natalia Ginzburg con improbabili innesti di Pasolini, Ciprì e Maresco, Fellini (qui per ascoltare l'audio, rigorosamente fatto in casa).


9 aprile ‘71

  Caro Michele,
Angelica mi ha detto che non verrai per le vacanze di pasqua. Pazienza. Ormai le volte che ho detto "pazien­za" pensando a te sono infinite. È vero che più passano gli anni e più si accrescono le risorse della nostra pazien­za. Sono le sole nostre risorse che si accrescono. Tutte le altre tendono a prosciugarsi.
  Avevo messo in ordine le due stanze all'ultimo piano. Avevo preparato i letti e appeso gli asciugamani nel bagno. Il bagno all'ultimo piano e il più bello della casa, con le maioliche a arabeschi verdi, e nel guardarlo ero contenta che lo vedesse tua moglie. Le stanze sono ancora là in perfetto ordine, con i letti pronti. Io non ci sono più entrata. Dirò a Cloti di tornare a disfare i letti.
  Mentre preparavo quelle due stanze, pensavo che tua moglie si sarebbe sentita a suo agio e anche pensavo che avrebbe trovato che io tengo bene la casa. Erano però due pensieri stupidi, perché io non conosco tua moglie, non so quando e dove si sente a suo agio e non so se è di quelli a cui piacciono le case tenute in ordine e le persone che tengono in ordine le case.
 Angelica mi ha detto che invece te ne vai a Bruges. Io non mi chiedo cosa vai a fare a Bruges, perché ormai ho smesso di chiedermi cosa vai a fare in un luogo o nell'altro. Io cerco di immaginarmi in un luogo o nell'altro la tua vita, però nella stesso tempo sento che la tua vita e diversa da come immagino, e così la mia fantasia e sempre più sfiduciata e più fiacca nell'intrecciare i suol arabeschi sopra di te.

  Quando starò meglio di salute, vorrei venire a trovarti con Angelica, se questo ti fa piacere. Non verremmo a stare a casa vostra, perché non voglio dare fastidio a tua moglie, che penso abbia sempre molto da fare. Andremmo in albergo. Io non amo i viaggi, e non amo nemmeno gli alberghi. Però preferisco ancora gli alber­ghi alla sensazione di dare fastidio, occupando spazio una casa piccola, perché una delle pochissime case che so di voi e che avete una casa piccola. Non posso partire adesso, perché non sono ancora guarita bene da quella pleurite, cioè non ho più la pleurite ma il medico dice che devo ancora usarmi dei riguardi. Ha anche trovato che ho il cuore in disordine. Tu spiega a tua moglie che io sono una che ha la casa in ordine e il cuore in disordine. Spiegale come sono, perché così quando mi vedrà potrà confrontare la mia vera immagine con le tue descrizioni. È uno dei rari piaceri che ci offre la vita, confrontare le descrizioni degli altri con le nostre fantasie e poi con la realtà. 



A tua moglie io penso spesso, e cerco di immaginarla, anche se tu non ti sei curato di descriverla, e quella fotografia di lei che mi hai mandato quando hai scritto che ti sposavi, è piccola e confusa. La guardo spesso, ma non riesco a vedere niente salvo un lungo impermeabile nero, e una testa avvolta in un foulard.


(...)


  L'altro giorno mi sono ricordata di una volta che sei venuto qui e appena venuto ti sei messo a frugare in tutti gli armadi alla ricerca di un tappeto sardo, che volevi appendere al muro nel tuo scantinato. Doveva essere l'ultima volta che ti ho visto. Io ero in questa casa da pochi giorni. Era novembre. Gironzolavi nelle stanze e frugavi in tutti gli armadi, che erano appena stati messi a posto, e io ti andavo dietro lamentandomi perché mi portavi sempre via i miei oggetti. Quel tap­peto sardo devi averlo poi trovato e preso perché qui non c'è. Non c'era nemmeno nello scantinato. A me comunque di quel tappeto non me ne importa niente, e non me ne importava niente allora. Lo ricordo perché è forse legato all'ultima volta che io ti ho visto. Ricordo che provavo, nell'arrabbiarmi e nel protestare con te, una grande allegria. Sapevo che le mie proteste avreb­bero suscitato in te allegria e noia mescolate. Penso ora che quello era un giorno felice. Ma purtroppo è raro riconoscere i momenti felici mentre li stiamo vivendo. Noi li riconosciamo, di solito, solo a distanza di tempo. La felicità era per me protestare e per te frugare nei miei armadi. Ma devo anche dire che abbiamo perduto quel giorno un tempo prezioso. Avremmo potuto met­terci seduti e interrogarci vicendevolmente su cose essenziali. Saremmo stati probabilmente meno felici, anzi saremmo stati forse infelicissimi. Però, io adesso mi ricorderei quel giorno non come un vago giorno felice ma come un giorno veritiero e essenziale per me e per te, destinato a illuminare la tua e la mia persona, che sempre si sono scambiate parole di natura deteriore, non mai parole chiare e necessarie ma invece parole grigie, bonarie, fluttuanti e inutili.
  Ti abbraccio.
Tua madre
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