lunedì 27 luglio 2015

Sotto assedio

di Orazio Crispo

   Con quali occhi un fotografo già famoso poteva guardare la guerra e lo sbarco alleato in Sicilia?

   Con quali occhi fissare una popolazione già povera e piegata dalle privazioni, dalla miseria, dalle bombe?

   Forse l’obiettivo non era certo mosso da pietà e da commiserazione, cioè da un autentico slancio umano; più probabilmente a scattare era la curiosità, autentica curiosità per una popolazione accasciata su se stessa, già vinta e stremata da una sofferenza lontana, ancestrale.

   Così l’aerea terra di Troina ci ha accolto, con una retrospettiva fotografica, un reportage su un pezzo di storia sepolta nella memoria e nel tempo, lampi e macerie di una guerra distante. Terribili bagliori che ci hanno raccontato di come in fondo l’uomo non impari mai a vivere in pace e in accordo con la Terra, la Vita e con la propria coscienza.

   Tale drammatica premessa ci ha come costretto a cercar rifugio in un luogo fortunoso e marginale dopo essere stati costretti dagli eventi a sfollare da diversi spazi pubblici.

   Tuttavia, mai un così casuale posto, accidentato ricovero digradante, fu più metaforico e adatto al nostro dire, al nostro continuo cercar equilibrio per non cadere, per non inciampare nella parola e nella trama, noi reduci e lettori nell'alta terra troinese.



   Eppure, in un riuscito controcanto al severo monologo esistenzialista di Albert Camus, le nostre voci si sono alternate per ricostruire la densità del racconto mentre vicino a noi rimbalzavano voci e suoni di un sabato indifferente alla Caduta, alla genuflessione ortopedica ad un testo nel contempo letterario e temerario, moralista e impudico, pieno di tranelli e imboscate. 

   Ma gli Asini, questi intrepidi e arditi figli della Parola, hanno rivoltato ogni aspetto del testo, facendolo brillare sotto luci sgargianti e sempre diverse, alternando scatti di giubilo e tempi di perplessità. Luci cangianti come la coscienza del nostro giudice-penitente, sempre in bilico tra confessione e accusa, vergogna e autocompiacimento.

   Alla fine il protagonista del racconto di Camus non ha scampo perché non riesce più a liberarsi dai reticolati e dai fili spinati che si è costruito attorno, può solo reiterare la sua pantomima e sperare nel caso e nella volontà di ascolto di qualche malcapitato avventore.

   Perciò i personaggi camusiani finiscono sotto assedio e forse, come i poveri abitanti di Troina durante la guerra, lo sono davvero perché incapaci di ascoltare quel grido di libertà che non viene dalla nazione o dal partito, dalla vanità o dal successo personale, ma da una aspirazione profonda e suprema.

   Chissà se il lascito di Camus è un grido di rivolta o forse soltanto una risata; più semplicemente è un invito a indagare dentro se stessi, qualunque cosa ciò voglia significare.
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3 commenti:

Rosa ha detto...

Orazio, colpita e affondata, trovo la chiusa di questo post perfetta ed estendibile a qualunque altro libro: un invito ad indagare dentro se stessi, qualunque cosa ciò voglia significare, senza star lì a definire e restringere troppo. Personalmente, negli incontri che via via stiamo vivendo, c'è una crescita esponenziale che non è usa e getta, che non è il qui e ora, ma si stratifica e deposita nel tempo, dentro me lettrice e persona. Poi ci sta tutto il resto, l'impasse di trovare una piazza perché siamo una congrega di lettori abusivi; la fatica di incontrare altri lettori che come noi affrontino un viaggio tra luoghi, persone, libri e non si limitino a dire che bella idea, come se un'idea non necessiti di essere incarnata. Ovviamente, si notino i congiuntivi: mi sto già preparando al prossimo incontro. Ah, il video è esilarante: accelera dei tempi vissuti da noi con lentezza restituendo un'immagine schizofrenica della realtà. Bravo Salvo!

Unknown ha detto...

Rosa, hai perfettamente ragione.
Trovo tutte le foto scattate da Salvo significative e indispensabili.

Questo raccontare per immagini non è certo un "riempitivo", un di più;
gli scatti forniscono un punto di vista ulteriore, dal di fuori e dal di dentro.
In contemporanea.

Allarga la luce dell'incontro e lo incornicia in un contesto più ampio in grado di restituire la logica dei nostri incontri: questo arrivare e annusare, prendere parola (e cibo) per poi scomparire in un altrove che non è letterario ma fisico.
La piazza alla fine rimane vuota...
Ma noi no.

In questo andare e tornare c'è un senso nascosto che solo gli Asini possono conoscere.
E che le immagini restituiscono bene.

Salvatore D’Agostino ha detto...

Rosa e Orazio,
il 5 febbraio di quest'anno, per una possibile FAQ sul blog dell'isola degli asini, avevo preso quest'appunto:

"Perché non vi fate i ritratti durante gli incontri?

Perché ogni libro inventa mondi paralleli o altri mondi ed è impossibile fotografare o rendere ‘reali’ questi mondi."

Saluti,
Salvatore

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