Il piccolo Arturo chiede a E. di immaginarlo da grande per raccontarlo fanciullo.
In questo intreccio, in questo groviglio, il lettore è chiamato; non a decifrare un enigma ma ad assistere ad un risveglio. Gli è concesso semmai, al lettore, di rivivere il proprio sonno (sogno) di bambino, semmai ne conservi memoria; o a sognare il suo sonno di bambino, semmai ne senta il bisogno.
Ma ad Arturo ben poco interessa. Arturo lascia noi lettori da soli: non pretende di coinvolgerci nella propria esistenza, perché NON vuole essere a sua volta coinvolto nelle nostre.
Vive nel suo limbo, ci preannuncia E., finché anche lui non “saprà la legge … che spezza il cuore” , oltre il quale non v’è eliso. E poi cita Saba, nel sottotitolo:
… “Io, se in lui mi ricordo, ben mi pare
che il suo cuore non debba ancor sapere
quella che in ogni nostra cura è ascosa,
malinconia amorosa.” …
Arturo suggerisce a E. di utilizzare una prosa asciutta, un lessico semplicissimo, una punteggiatura puntigliosissima. Per costringere il lettore a non divagare troppo. Non nell’immediato; dopo, forse!
Tutto il mondo che il piccolo Arturo conosce è tratto dai libri di mirabolanti Avventure, unici compagni della sua fanciullezza. Tutto comincia a scomporsi quando, suo malgrado, si (ri)compone una famiglia. Il grande imbroglio. Ed ecco che i “miti” si trasformano: gli eroi cavallereschi e le fate protettrici assumono, pian piano, atteggiamenti ancestrali, sconosciuti, con cui gli è difficile convivere, che lo turbano e lo disorientano.
È giunta l’ora di svegliarsi.
Inevitabile che abbandoni l’Isola. Non lo fa con la sua inseparabile barchetta, Torpediniera delle Antille, come avrebbe fatto qualsiasi eroe dei suoi libri; raggiunge la Terraferma sul piroscafo, lo stesso che ha sempre trasportato il suo Eroe Primo, suo padre; su cui Arturo non era mai salito prima. E su cui non ci è dato sapere se mai salirà poi.
Immagine tratta dal film 'L'isola di Arturo, di Damiano Damiani (1962) |
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