giovedì 10 luglio 2014

Invito a ripensare l’identità e il ruolo delle biblioteche nella provincia di Enna prima di una loro definitiva decadenza

Questo è il testo della mail spedita ieri, giovedì 10 luglio, a tutti i sindaci e bibliotecari della provincia di Enna, dopo una lunga discussione su fb tra lettori e cittadini.

Gentile sindaco e bibliotecario/a,
vi rilanciamo una discussione nata sulla pagina facebook dell’isola degli asini, un gruppo di lettori che legge libri e si incontra per paesi, sempre diversi, della provincia di Enna. La discussione, casuale e informale, è partita da un’amara considerazione sullo stato di fatto di molte biblioteche della nostra provincia che, incapaci di assorbire la spinta innovativa delle nuove tecnologie, sono diventate luoghi sempre meno frequentati e quindi inutili per la comunità. Altrove, invece, le biblioteche hanno mutato identità facendosi, non solo luoghi di conservazione e prestito del libro, ma anche spazi, vere o proprie piazze 2.0, di socializzazione e incontri sul libro e la cultura in genere per qualsiasi fascia d’età. Vi rilanciamo questa discussione a voi che avete gli strumenti, con l’intento di invitarvi a ripensare l’identità e il ruolo delle biblioteche nella nostra realtà e soprattutto ad intervenire prima di una loro definitiva decadenza.

Scarica, se vuoi, la discussione in pdf






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Tra libri, topi e parchi

Non c'è verso di star fermi quando si legge un libro come quello proposto per il prossimo incontro "Una solitudine troppo rumorosa" dello scrittore ceco Bohumil Hrabal che, a partire dal titolo, è un ossimoro, uno slalom nella contraddizione: se solitudine è, da dove verrà mai quel troppo rumore?

Poi leggi, entri nella storia e scopri che quel troppo rumore viene dai libri censurati dal regime comunista che Hanta, il protagonista, pressa da 35 anni in un seminterrato di Praga per trasformarli in parallelepipedi da incenerire; quel troppo rumore viene da scrittori e pensatori apparsi ad un Hanta allucinato dalla birra: Kant, Hegel, Laozi, Gesù e molti altri; quel troppo rumore viene da tutti i topi che si nutrono come Hanta di carta e squittiscono con lui nel magazzino seminterrato e muoiono pressati tra una carta e l'altra. C'è molto altro nella storia, allora entrateci e camminate per questa Praga sotterranea che squittisce e sputa sangue, sudore e si istruisce suo malgrado; entrate nella Praga delle osterie perché bere aiuta a sopportare il lavoro e ad arrivare meglio al cuore dei libri e della loro verità; entrate e leggete questa love story con lo stesso spirito di Hanta che non legge, ma succhia il libro come una caramella che si scioglie e infiltra nel suo corpo e "cola per le vene fino alle radicine dei capillari".

Non abbiate paura, buttatevi nel corpo a corpo con il libro e siate eretici nella lettura, viaggiatori di frodo ché gli esegeti del libro muoiono nella muffa delle loro accademie. Poi, se vi aggrada, venitene a parlare con noi in quel luogo, il lago Pozzillo a Regalbuto, che doveva ospitare il più grande parco tematico d'Europa, si pensa in grande da queste parti, e dopo un avvicendarsi di finanziamenti, consensi, piantumazione di alberi, benedizione del vescovo, realizzazione di plastici, il parco non è mai stato realizzato e, per questo è stato ribattezzato "pacco" dagli abitanti, quindi perfettamente in tema con il libro. 
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mercoledì 2 luglio 2014

Verso una città sconosciuta

di Rosa Salamone

Questo è un viaggio sulle tracce di Giuseppe Antonio Borgese, recensore, romanziere, giornalista, docente, ma anche politologo, oppositore dell'ideologia fascista, costruttore di pace, viaggiatore. Da Polizzi Generosa, sua città natale e sicula che s'affaccia sulle Madonie, girovagò ovunque: Firenze, Fiesole, Napoli, Milano, Ghiffa, Berlino, Berkley, California, Chicago; ovunque portando la sua lucidità e amarezza e vitalità, forse la stessa che fa dire a Rubè, protagonista del suo omonimo romanzo, che la propria esistenza è come «un involto che qualcuno gli avesse affidato senza dirgliene il contenuto né più passasse a ritirarlo».

Ad attraversare i luoghi mentali e fisici di quest'uomo eclettico è Federico Savonitto che incontra luoghi e persone ed entrambi interroga. Non trova grandi verità o testimoni, non ci sono epifanie e spesso s’inciampa fisicamente sulle cose e sulle parole, ma è anche questo a rendere il viaggio documentario singolare: l’inciampo e nessuna epifania solo l’andare conta, il mettersi in cammino verso una città sconosciuta.



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sabato 14 giugno 2014

Viaggio nell'happyfania della provincia ennese

di Rosa Salamone

Quale maggior supplizio per gli alunni che ritornare sui banchi di scuola dopo le vacanze, ogni tipo di vacanze, e trovarsi di fronte ad una pagina bianca da riempire con un racconto sulle vacanze stesse? Il suddetto supplizio è stato inflitto anche ai miei alunni, precisamente al rientro delle vacanze natalizie, anche se a loro in realtà piace molto raccontarsi. In uno dei testi, un alunno aveva scritto “happyfania” al posto di “epifania” meritandosi un bel punto interrogativo. Ho scoperto, in seguito, che la trascrizione di “Happyfania” era stata usata nella pubblicità di un noto marchio di cioccolati, la Kinder, di cui l’alunno avrà fatto un consumo eccessivo con danni irreversibili in campo ortografico. Ci ho riso su concludendo che, se l’epifania etimologicamente è la manifestazione di una qualche divinità, l’happyfania potrebbe essere la manifestazione di una qualche felicità. 
Una felicità da pubblicità, da golosi, da scorrettezza ortografica, ma pur sempre una felicità.

La stessa felicità circola nei video amatoriali costruiti sul ritmo trascinante della canzone Happy, cantata dallo statunitense Pharrel Williams. I video amatoriali vedono, come protagonisti, persone comuni di ogni latitudine le quali ballano e si muovono in luoghi altrettanto comuni per i motivi più disparati: divertimento, autopromozione, vanità, pubblicità. Non sarà la felicità come diritto sancita nella Dichiarazione d’indipendenza americana, forse ricorderà più da vicino la felicità cantata da Albano e Romina Power, quella del bicchiere di vino, con un panino, eccetera, o la felicità da parrocchia del “Se sei felice e tu lo sai, batti le mani”, ma è pur sempre una felicità. 

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martedì 10 giugno 2014

Le finestre dell'anima nel Doppio sogno di Arthur Schnitzler

di Rosa Salamone
«Di ciò che caratterizza lo spazio, ossia una stanza, la cosa più meravigliosa è la finestra».
Con questa immagine dell’architetto statunitense Louis Khan1 in cui la finestra è il luogo della meraviglia e imprescindibile di uno spazio, sarebbe stato sicuramente d’accordo lo scrittore Arthur Schnitzler; lui che ha riempito le centinaia di pagine o poco più della sua novella, Doppio sogno, di tante finestre: ora aperte ora chiuse, ora opache ora trasparenti. Da alcune di queste finestre vi invito a guardare la storia dei protagonisti della novella, una coppia borghese della Vienna degli anni ‘20, Fridolin e Albertine, che si smarriscono, l’uno nella realtà e l’altra nel sogno dei propri desideri insoddisfatti, per poi ricongiungersi. 

Una premessa è necessaria, anche se ovvia: la finestra qui è elemento materico ma anche e soprattutto metaforico, per quel suo stare, chiusa o aperta che sia, su una soglia figurando un varco tra l’interno e l’esterno e, per estensione, tra l’io e il mondo, il noto e l’avventura. Seguitemi dunque e affacciatevi nelle finestre materiche e metaforiche di Arthur Schnitzler e del suo Doppio sogno.
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lunedì 2 giugno 2014

Quando il libro va in piazza

di Rosa Salamone

Per i greci era l’agorà, per i latini il foro romano, per noi è semplicemente la piazza, luogo dell'incontro e della socializzazione che una sbrigativa sociologia mediatica dà per spacciata lamentando la sua sostituzione con altre piazze virtuali, la tv ed internet, ma lei è lì che resiste ed esiste. Noi da lettori in viaggio la attraversiamo e la viviamo nei nostri incontri. In una piazza, precisamente nella piazza Carlo Alberto di Villadoro, ci siamo dati appuntamento per parlare del libro Doppio sogno di Arthur Schnitzler.


Villadoro è una frazione del paese di Nicosia, conta sì e no 800 abitanti circa e per raggiungerla si incontrano campi su campi, gli stessi che mettono in moto la povera economia degli abitanti di questo paese. Qui, con le nostre sedie portate da casa, un tortino salato, una bottiglia di vino e i libri ci sistemiamo in cerchio e non passiamo certo inosservati. Le persone ci guardano incuriosite: alcuni passano lenti con le orecchie in ascolto, uno mormora un buonasera, un altro in divisa ci stringe la mano, chiede cosa stiamo facendo, se siamo autorizzati, se siamo italiani e perché allora leggiamo un libro straniero. Ha inizio così la nostra discussione sul libro, tra un viavai continuo di passanti. Quando uno, che potrebbe portare la fascia di primo cittadino nelle sfilate di paese, si avvicina, chiede spiegazioni della locandina e inizia a parlare di un paese abbandonato e che stringe la cinghia, di un prete, che adesso non c’è più, che aveva unito cittadini e credenti tutti in processioni e tradizioni rispolverate, del macellaio il cui orgoglio è la salsiccia secca, della via di cui conosce il numero esatto degli abitanti, di se stesso emigrato per molti anni al nord per lavoro. Va di palo in frasca ma ogni suo discorso è concreto, è a portata di indice: là la chiesa e i suoi santi, là il macellaio e la salsiccia, là la via e i suoi abitanti contati uno ad uno, là il paese che stringe la cinghia, infine va via.

Noi riprendiamo ancora una volta il filo del discorso sul libro, mentre continuano in sottofondo le voci e gli sguardi di maschi e donne, giovani e anziani che il sabato sera vivono la piazza di un paese di 800 abitanti appena dell'entroterra siculo. Si diceva del libro Doppio sogno, storia di una famiglia borghese e felice che si trova a dover fare i conti con i reciproci desideri nascosti e insoddisfatti in un susseguirsi di avventure sognate e reali. Il libro, negli anni in cui uscì, siamo a Vienna nel 1926, coglieva in pieno le teorie freudiane sull'inconscio e il sogno e aveva un suo sapore rivoluzionario che adesso però ha perso, non solo per il contenuto ovvio e superato, ma anche e soprattutto per la scrittura sciapa, insapore, a tratti didascalica. Lungamente si parla del libro rimandando ad altri libri e film quando, altra pausa (non dimenticate, intanto, il sottofondo di voci e sguardi), si avvicina un ragazzo, si presenta, stringe la mano a tutti, chiede cosa stiamo facendo e parla di sé. Ha diciannove anni ed è un lettore, ha appena finito di leggere Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, un mattone che non voleva più finire ma per fortuna l'ha letto per intero e che pena quel Raskol'nikov, è stato iniziato alla lettura con Harry Potter, dice con orgoglio, e infine ci saluta con garbo e una scintilla di gioventù negli occhi. 

La sensazione è quella di aver, noi lettori con le nostre sedie e i nostri libri, allestito una scena teatrale all'interno di un'altra scena teatrale che è la piazza, che a sua volta rimanda ad un'altra scena teatrale che è la vita. Ma non facciamo filosofia! Cerchiamo d'essere concreti, indichiamole le cose di cui parliamo, come il primo cittadino di questa frazione di paese: è stato un privilegio esser stati con altri lettori, altri passanti e libri in questa piazza che non è indifferente e si racconta con orgoglio e pudore. La dimensione della piazza, del suo sguardo e delle sue storie che si è incontrata con la dimensione della storia del libro Doppio sogno fino a farsi tutt'uno, intreccio indissolubile: lo smarrimento di Fridolin che vaga per la Vienna degli anni venti si è fatto tutt'uno con il lungo discorso del primo cittadino di Villadoro che ci parla del suo paese, Albertine e il suo sogno del marito crocifisso si è fatto tutt'uno con il carabiniere che ci chiede perché leggiamo un libro straniero, Marianne e la sua confessione di amore a Fridolin si è fatta tutt'uno con il ragazzo diciannovenne che con orgoglio ci dice di aver letto per intero Delitto e castigo. 

Portare un libro in piazza significa innestarlo, imbastardirlo con altre storie fino a fargli mutare la sua identità perché questa è la piazza: metamorfosi. Questo siamo noi lettori.
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domenica 1 giugno 2014

Peter Schlemihl? Tiratelo fuori dall’ombra

Da quali scaffali e memorie vengano sputati certi libri, resta un mistero.

Nell'ultimo incontro dei lettori dell’isola degli asini, è stato scelto l’unico libro proposto tra i presenti: “Storia straordinaria di Peter Schlemihl”, libro di uno sconosciuto (tale Adelbert von Chamisso), di un’ancora più sconosciuta casa editrice (Morganti Editori), dalla copertina insignificante (tra alti edifici un uomo scappa inseguito da un’ombra) e dalla trama apparentemente banale (storia di Peter Schlemihl che baratta la propria ombra con il diavolo in cambio di una borsa magica da cui poter attingere monete all'infinito e che condanna se stesso ad essere esiliato dagli uomini perché senz'ombra finché non diventerà, nel viaggio e nella solitudine, uno studioso naturalista). Insomma, un libro che sembrava meritare solo un destino: restare nell'ombra.

Sin dalle prime pagine, invece, attraverso una prosa asciutta e rapida, si entra nella storia e nel personaggio di Peter Schlemihl, alter ego dell’autore von Chamisso (esiliato perché senz'ombra uno, sradicato dalla propria patria, la Francia, l'altro), ed è godimento puro. C’è chi lo ha definito “una delle più graziose opere giovanili della letteratura tedesca” (Mann), chi ha visto in questo libro “un anticapitalismo romantico” (De Angelis), chi ha parlato di parodia (Atkins), chi di pessimismo (Flores), ma queste sono tutte formule riduttive, buone per un aforismario, la verità è che il libro si presta a più chiavi di lettura ed è ingannevole: sembra un romanzo epistolare, ma non lo è; una favola, ma non lo è; riprende alcune tematiche del romanticismo, ma per smontarle; parla dell’ombra, ma non ne dà mai un significato chiaro e univoco. Ricentrando il giudizio: è un libro che vale la pena d’esser letto.

Tiratelo fuori dall'ombra, quindi, dagli scaffali, da dove volete voi. A lettura finita, condividetelo, semplicemente parlandone, con altri lettori venerdì 27 giugno a Valguarnera, in piazza Matrice muniti di sedia, se non volete restare all'impiedi.
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