lunedì 2 giugno 2014

Quando il libro va in piazza

di Rosa Salamone

Per i greci era l’agorà, per i latini il foro romano, per noi è semplicemente la piazza, luogo dell'incontro e della socializzazione che una sbrigativa sociologia mediatica dà per spacciata lamentando la sua sostituzione con altre piazze virtuali, la tv ed internet, ma lei è lì che resiste ed esiste. Noi da lettori in viaggio la attraversiamo e la viviamo nei nostri incontri. In una piazza, precisamente nella piazza Carlo Alberto di Villadoro, ci siamo dati appuntamento per parlare del libro Doppio sogno di Arthur Schnitzler.


Villadoro è una frazione del paese di Nicosia, conta sì e no 800 abitanti circa e per raggiungerla si incontrano campi su campi, gli stessi che mettono in moto la povera economia degli abitanti di questo paese. Qui, con le nostre sedie portate da casa, un tortino salato, una bottiglia di vino e i libri ci sistemiamo in cerchio e non passiamo certo inosservati. Le persone ci guardano incuriosite: alcuni passano lenti con le orecchie in ascolto, uno mormora un buonasera, un altro in divisa ci stringe la mano, chiede cosa stiamo facendo, se siamo autorizzati, se siamo italiani e perché allora leggiamo un libro straniero. Ha inizio così la nostra discussione sul libro, tra un viavai continuo di passanti. Quando uno, che potrebbe portare la fascia di primo cittadino nelle sfilate di paese, si avvicina, chiede spiegazioni della locandina e inizia a parlare di un paese abbandonato e che stringe la cinghia, di un prete, che adesso non c’è più, che aveva unito cittadini e credenti tutti in processioni e tradizioni rispolverate, del macellaio il cui orgoglio è la salsiccia secca, della via di cui conosce il numero esatto degli abitanti, di se stesso emigrato per molti anni al nord per lavoro. Va di palo in frasca ma ogni suo discorso è concreto, è a portata di indice: là la chiesa e i suoi santi, là il macellaio e la salsiccia, là la via e i suoi abitanti contati uno ad uno, là il paese che stringe la cinghia, infine va via.

Noi riprendiamo ancora una volta il filo del discorso sul libro, mentre continuano in sottofondo le voci e gli sguardi di maschi e donne, giovani e anziani che il sabato sera vivono la piazza di un paese di 800 abitanti appena dell'entroterra siculo. Si diceva del libro Doppio sogno, storia di una famiglia borghese e felice che si trova a dover fare i conti con i reciproci desideri nascosti e insoddisfatti in un susseguirsi di avventure sognate e reali. Il libro, negli anni in cui uscì, siamo a Vienna nel 1926, coglieva in pieno le teorie freudiane sull'inconscio e il sogno e aveva un suo sapore rivoluzionario che adesso però ha perso, non solo per il contenuto ovvio e superato, ma anche e soprattutto per la scrittura sciapa, insapore, a tratti didascalica. Lungamente si parla del libro rimandando ad altri libri e film quando, altra pausa (non dimenticate, intanto, il sottofondo di voci e sguardi), si avvicina un ragazzo, si presenta, stringe la mano a tutti, chiede cosa stiamo facendo e parla di sé. Ha diciannove anni ed è un lettore, ha appena finito di leggere Delitto e castigo di Fëdor Dostoevskij, un mattone che non voleva più finire ma per fortuna l'ha letto per intero e che pena quel Raskol'nikov, è stato iniziato alla lettura con Harry Potter, dice con orgoglio, e infine ci saluta con garbo e una scintilla di gioventù negli occhi. 

La sensazione è quella di aver, noi lettori con le nostre sedie e i nostri libri, allestito una scena teatrale all'interno di un'altra scena teatrale che è la piazza, che a sua volta rimanda ad un'altra scena teatrale che è la vita. Ma non facciamo filosofia! Cerchiamo d'essere concreti, indichiamole le cose di cui parliamo, come il primo cittadino di questa frazione di paese: è stato un privilegio esser stati con altri lettori, altri passanti e libri in questa piazza che non è indifferente e si racconta con orgoglio e pudore. La dimensione della piazza, del suo sguardo e delle sue storie che si è incontrata con la dimensione della storia del libro Doppio sogno fino a farsi tutt'uno, intreccio indissolubile: lo smarrimento di Fridolin che vaga per la Vienna degli anni venti si è fatto tutt'uno con il lungo discorso del primo cittadino di Villadoro che ci parla del suo paese, Albertine e il suo sogno del marito crocifisso si è fatto tutt'uno con il carabiniere che ci chiede perché leggiamo un libro straniero, Marianne e la sua confessione di amore a Fridolin si è fatta tutt'uno con il ragazzo diciannovenne che con orgoglio ci dice di aver letto per intero Delitto e castigo. 

Portare un libro in piazza significa innestarlo, imbastardirlo con altre storie fino a fargli mutare la sua identità perché questa è la piazza: metamorfosi. Questo siamo noi lettori.
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