domenica 25 agosto 2019

Sala d'attesa

di Orazio Crispo

   I non luoghi esistono. Sono stazioni vuote, binari morti, passaggi chiusi al transito delle idee. Albergano nella testa degli scrittori incompresi, volutamente trascurati dalla critica, dimenticati da un pubblico in cerca di “luoghi comuni” tranquillizzanti. Guido Morselli era un intellettuale che non si piegava al gusto degli editori o dei lettori “politicamente” schierati e per questo si era ritirato in un non luogo avulso da tutto e disperato per tutto. 

  Dissipatio H. G., l’ultimo suo libro, nasce proprio dal bisogno di comunicare questa distanza dalle umane genti e di estraniarsi fatalmente, prendendo un amaro e ironico commiato da sé e da un Mondo ormai vuoto, popolato soltanto dall’incomprensione.


    Protagonista del romanzo è un unico uomo, l’ultimo reduce di un’umanità “vaporizzata”, il quale non diviene un monos, non perviene all’unità. Egli, al contrario, sprofonda nelle antitesi irrisolvibili: non riesce a capire se è un prescelto o un reietto, se è scampato a una catastrofe oppure se è stato abbandonato sulla terra… Rimanere solo nel mondo è un privilegio della condizione umana o una maledizione della sua esistenza? Non potendo trovare risposta, l’uomo di Morselli rimane lucido, razionale e inerte: è l’ultimo umano o il Primo Uomo di una nuova Aurora?

   Leggibile sia come science fiction neoplatonica che come pamphlet post-razionale, o comunque lo si interpreti, Dissipatio H. G. è un testamento filosofico che non ha lasciato scampo a nessuno, nemmeno al suo scrittore, morto suicida.
Stavolta l’enneade asinina si è svolta in una stazione ferroviaria pulsante di annunci, campanelli trillanti e treni in corsa ma incredibilmente vuota di passeggeri…
 
   Era l’ultima dimora prescelta dal protagonista morselliano, è stato il simbolo del nostro incontro estivo. Perché la stazione è il Luogo per eccellenza, la sua ubicazione sempre coerente, la sua percezione sempre precisa: la stazione è il luogo dell’attesa.


   Una metafora stridente della nuova era dell’Isola degli Asini che ormai possiede quel cigolio tipico delle fermate dai tempi lunghi, cadenzate dal lento moto delle stagioni. E non è un caso che i nostri incontri inizino sempre con una pausa, aspettando con curiosità i nuovi arrivati e con apprensione per i vecchi non ancora giunti…
 
   Insomma, abbiamo abitato uno spazio perfetto per parlare di un romanzo in cerca di una decodificazione ideale, per una interpretazione che corresse sui binari paralleli della filosofia antica e della prassi esistenziale; un libro per sopravvivere a noi stessi in un mondo vuoto di uomini ma ancora pieno di speranza e di attesa.

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1 commenti:

Rosa Salamone ha detto...

Orazio, non è facile rendere l'idea dell'atmosfera e delle suggestioni respirate quella sera, ma è certo che ci sei riuscito a concentrare il succo delle questioni più importanti. Io che sono reduce dalla visione dell'ultimo film di Jim Jarmusch, The dead don't die, ho ritrovato in questo l'altra faccia del libro. A Centerville succedono cose strane: gli orologi si fermano e i dispositivi digitali si spengono, gli animali impazziscono e soprattutto i morti non muoiono, al contrario del libro dove tutti muoiono. Gli stessi non morti peraltro restano consumatori alla ricerca delle merci che in vita li ossessionavano: smartphone, Xanax, banda larga e tanto caffè. Certa critica al consumismo delle merci e dei rapporti quindi anche qui. Non è un film ben riuscito, ma sono ancora sotto cura morselliana e vedo/cerco nel mio quotidiano tracce del libro.

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