giovedì 2 luglio 2015

La lettura come Forma Simbolica

di Orazio Crispo


   “Item Perspectiva è una parola latina, significa vedere attraverso”. Così Albrecht Durer, il celebre critico letterario del Rinascimento, ha cercato di circoscrivere il concetto di lettura. E per quanto non sembri che questa parola latina avesse un senso così pregnante, noi vogliamo tuttavia adottare, sostanzialmente, la definizione dureriana; parleremo della lettura come di una particolare intuizione prospettica in senso pieno là dove, non solamente i singoli elementi della narrazione, le case, gli oggetti, i personaggi o le suppellettili vengono rappresentate “di scorcio” ma l’intero quadro letterario si trasforma in una finestra attraverso la quale noi crediamo di guardare lo spazio degli accadimenti, la superficie materiale della vita.


   Questa teoria potrebbe utilmente spiegare perché un gruppo di persone, le più disparate, provenienti da province diverse, appartenenti a mestieri simili ma non coincidenti, attraversino lande, dighe e contrade per giungere infine in piazze remote per parlare di libri.

   Perché un libro non è solo un libro. È cosa diversa, altra. L’Alterità del libro consiste nella sua Forma Simbolica. Simbolo sintomatico dell’Incontro, ogni libro favorisce il ricambio del pensiero, l’alternanza ritmica delle idee e la circolazione interiore.

   Un incontro causale con sé e casuale con l’Altro.

   L’incontro dei lettori con il vecchio E. Panofsky stavolta si è giocato sulla fuga della memoria, sulla prospettiva della Verità vista come un bizzarro tiro mancino giocato all'esistenza. 

    Alla vita vissuta come una dissoluta ode all'autocompiacimento. 

   Il nostro protagonista, eterno e soddisfatto infelice, ha giocato con la sua e la nostra memoria, con le donne, con le sue malattie e si è offerto a noi con tutto il carico delle sue umane incompiutezze.

   Tuttavia, attraversando le sue inattendibili verità, egli ci ha offerto un impareggiabile scorcio del Novecento, secolo breve, intenso e forse mirabilmente irraccontabile. 

   Alle nostre spalle c’è un secolo troppo irrazionale, iracondo e immorale per essere prospetticamente ricordato e per essere giudiziosamente archiviato. 

   Dunque la Versione di Panofsky è solamente la narrazione di un limite: la fugace e fallace memoria individuale non è in grado riassumere gli eventi che ha vissuto e non può rettamente ricordare, forse può soltanto vaneggiare, in attesa che qualcuno faccia ordine al posto suo (e nostro). 

   La memoria si lascia sempre dietro uno spazio da colmare e la parabola umana ha sempre termine di fronte al baratro, nell'attesa della Caduta…

   Ma insieme a questi limiti imposti dalla memoria, il lettore errante troverà davanti a sé un nuovo spazio mentale in grado di rinnovare la visione e di ampliarne la prospettiva… 

   Perché il libro è sempre un simbolo aperto, una narrazione di speranza. 
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2 commenti:

Salvatore D’Agostino ha detto...

Il tema della memoria si è arricchito di altre due ‘letture erranti’:

Rosa: sull’idea di un popolo senza patria che non ha una sua specifica identità e quindi storia. Una diaspora d’identità con ‘diverse memorie’;

Cateno: sull’idea dell’impossibilità di fare ‘sintesi storica’, riprendendo ‘Proust’ ovvero “la storia sono io” (rilevando che Mordecai Richler non ha lo stesso spessore dello scrittore francese) se non possiamo fare la ‘storia’ possiamo rifrangerla attraverso l’io, la piccola storia come osservatorio dei tempi.

L’altro espediente narrativo del libro è l’uso smodato di stereotipi e pregiudizi, può un uomo dissoluto e fallace non aver ucciso un amico, più talentuoso, che è scomparso nel nulla? No, perché la Franzoni è stata fredda davanti alla Tv, perché Meredith è una ‘femme fatale’, perché Bossetti è un uomo vizioso. Ovvio l’amico, scrittore di successo, di Barney non può essere stato ucciso dalla storia canadese più bella per l’umanità: il canadier.

Saluti,
Salvatore

Salvatore D’Agostino ha detto...

Dimenticavo,
un’altra precisa lettura è stata quella di Alessandro, la sua descrizione del dettaglio più significativo del libro meritava interesse. Non è un caso che E. Panofsky (citando Orazio) affida la revisione della sua alzheimeriana autobiografia al figlio meno incline alla fabula, all’invenzione, al piacere del racconto: Mike.

Mike è l’unico in grado, per E. Panofsky, di non divagare e concentrarsi sui quei maledetti dettagli che risolvono casi complessi. Mike capirà in ritardo, dopo la morte di E. P., che quel bravo padre, un po’ inquieto, in fondo era veramente un bravo padre. Anche se un padre che aveva sempre sbagliato tutto con i figli e nel dire due volte la verità aveva rovinato la parte più bella della sua esistenza. Mike giudicando le apparenze aveva corrotto il suo rapporto con il padre. Le scuse tardive non servono più.

Dimenticavo inoltre,
scusa Barney se non solo i tuoi amici, compagne e figli ti hanno giudicato cialtrone e autocompiaciuto :-)

Saluti,
Salvatore

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